L'ente era stato istituito nell'ambito dei provvedimenti razziali del 1938 per curare la gestione e la liquidazione dei beni ebraici espropriati in applicazione del rdl 9 febbraio 1939, n. 126. Successivamente la legge 16 giugno 1939, n. 942, aveva affidato al nuovo organismo gli immobili divenuti di proprietà statale dopo che era andato deserto il secondo esperimento d'asta, effettuato a seguito di procedura esecutiva esattoriale. Lo scoppio della guerra aveva aggiunto come ulteriori competenze, la gestione dei beni dei cittadini di nazionalità nemica sottoposti a provvedimenti di sequestro in applicazione dell'art. 20 della legge 19 dicembre 1940, n. 1994. Dopo l'8 settembre, sorta la Repubblica sociale italiana, l'Egeli era stato trasferito al Nord e incaricato di ulteriori attribuzioni. Col decreto legislativo 4 gennaio 1944, n. 1, passavano all'ente le aziende industriali e commerciali già dichiarate nemiche dal governo e fino ad allora di spettanza del Ministero delle corporazioni. Il decreto n. 2 della stessa data, inaspriva le misure contro gli ebrei sancendo la confisca totale di tutte le proprietà ebraiche italiane e straniere che entravano pertanto nell'ambito dell'attività dell'Egeli. La spaccatura militare e istituzionale dell'Italia vedeva la contemporanea emanazione da parte del governo del Sud di provvedimenti di tenore opposto quale il rdl 20 gennaio 1944, n. 26, contenente disposizioni per la reintegrazione nei diritti patrimoniali dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati o considerati di "razza ebraica". La previsione di un rapido scioglimento dell'Egeli verrà presto smentita dall'evolversi degli avvenimenti. Se, infatti, il dllg 5 ottobre 1944, n. 252, ordinava la pubblicazione del decreto n. 26 del 20 gennaio rendendo operative le prime retrocessioni di beni sequestrati in base alla normativa del 1939, più complesso per l'Egeli fu provvedere, dopo la Liberazione, alla restituzione delle proprietà confiscate nella Repubblica sociale italiana non solo per la mole e il numero, ma anche per la difficoltà di tracciare un quadro esatto della situazione patrimoniale dovendosi lamentare disordini, dispersioni di documentazione, soprusi. Allo scioglimento dell'Egeli si arriverà con dpr 22 marzo 1957 emesso in applicazione della l 4 dicembre 1956, n. 1404, approvata per disciplinare la soppressione e messa in liquidazione di enti, società, organismi interessanti la finanza statale, i cui scopi erano cessati o comunque costituenti un onere per il bilancio dello Stato. La riforma, che si inseriva in un più vasto progetto di razionalizzazione della pubblica amministrazione, era stata sollecitata dalla necessità di chiudere numerose istituzioni sorte durante il fascismo per realizzare i suoi scopi soprattutto nei settori economici e coloniali ed ormai del tutto superati. Per provvedere a tale compito era stato organizzato dal gennaio 1957 un apposito Ufficio liquidazioni inserito nell'Ispettorato generale di finanza della Ragioneria generale dello Stato. A tale struttura con dm 13 novembre 1957 furono affidate le operazioni di chiusura dell'Egeli quando fu esaurito l'incarico di commissario liquidatore dato ad Ercole Marazza. Responsabile della gestione dell'ente venne nominato l'avvocato Giuseppe Vania già direttore generale dell'Egeli. Al momento delle consegne al Tesoro, la relazione sulla attività e la documentazione allegata rivelano che l'ente aveva mantenuto distinte cinque gestioni: "gestione beni ebraici espropriati 1939"; "gestione beni esattoriali"; "gestione beni alleati"; "gestione beni ebraici confiscati o sequestrati 1944"; "gestione beni germanici". Risultava che erano ancora da definire sei pratiche di beni ebraici espropriati; 66 erano gli immobili da alienare provenienti da esecuzioni esattoriali; 90 erano le posizioni aperte tra i beni alleati e 32 tra i beni germanici. Tra i beni ebraici confiscati rimanevano a carico dell'ente oggetti, fra cui alcuni preziosi non rivendicati dagli aventi diritto e titoli vari consegnati all'Egeli dall'Arar in quanto appartenenti ad israeliti. Il numero delle pratiche da chiudere, quindi, era sostanzialmente limitato e decisamente ridotto rispetto alla quantità di fascicoli prodotti durante la sua esistenza a giudicare dalla nota di consegna dell'archivio che nel dicembre 1957 consisteva oltre che di carteggi di carattere generale, di più di 13.000 unità intestate ad altrettanti titolari e organizzate secondo questa ripartizione: beni ebraici, fascicoli numerati da 1 a 200; beni esattoriali, da 1 a 186; beni alleati, da 1 a 4005; beni ebraici confiscati, da 1 a 8112; beni germanici, da 1 a 535. Di questo cospicuo archivio restano purtroppo solo esigui nuclei di documentazione. Quando, dopo un anno dalla chiusura dell'ente effettuata nel 1997 dall'Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti, erede dell'originario Ufficio liquidazioni, fu predisposto il versamento all'Archivio centrale dello Stato del carteggio Egeli, veniva acquisito un complesso documentario di dimensioni decisamente modeste, poco più di 200 cartelle al cui interno il personale del Tesoro aveva inserito i fascicoli con un ordine più o meno curato, probabilmente funzionale alle esigenze di natura essenzialmente contabile che interessavano. [tratto da PCM, Rapporto generale della Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati, pp.253-254]